Molti pensano di sapere cosa occorra per fare una bella figura in ogni occasione: dire le cose in
grado di sottolineare di sé quelle qualità che, si presume, siano particolarmente apprezzate in una
determinata circostanza. Non si parla per la necessità di esprimere o di comunicare qualcosa, ma per segnalare agli interlocutori quanto si sia scaltri o ingenui, ambiziosi o modesti, spensierati o consapevoli della tragicità dell'esistenza e così via. Non per altre ragioni i manuali per seduttori, ma anche quelli, per esempio, per agenti di commercio o per aspiranti manager, hanno l'ossessione di insegnare a dire la cosa giusta al fine di raggiungere un preciso obiettivo.
Il seduttore evoluto non ha l'ossessione di dire la cosa giusta. La ritiene anzi un fatale errore, non solo dal punto di vista relazionale, ma anche semplicemente da quello logico giacché confonde l'effetto con la causa. Sarebbe come aprire un ombrello per fare piovere, o fare spese folli per vincere al lotto. Non c'è bisogno di affannarsi nella ricerca delle parole giuste. Sono le parole a trovare noi quando prepariamo loro le condizioni giuste per emergere. Se non è sempre facile comprendere come sia possibile creare i presupposti affinché le parole per così dire ci parlino, si può però individuare con certezza quali atteggiamenti vadano nella direzione sbagliata. Conversare con qualcuno solo con l'intento di rappresentare in modo indiretto presunte nostre qualità è senz'altro uno di questi.
Tutto ciò che nella comunicazione non è parola – come il tono di voce, la mimica e la gestualità – non può che dire dell'affanno nel mettere in scena ciò che non è. Inconsapevolmente tutto di noi boicotta e rende vana l'ambizione di fare delle parole una maschera credibile. Se sì fosse spigliati, intelligenti, umoristi, sinceri e così via, che bisogno ci sarebbe di indossare una maschera?
È vano affidare se stessi solo alle parole, precedentemente occorre impegnarsi ad essere ciò che si vuole palesare di sé. Altrimenti è molto meglio lasciare che le parole parlino di noi in modo autentico, che dicano insomma senza finzione come mangiamo. Solo così potranno parlare di noi secondo i nostri desideri. In caso contrario ci sentiremo come il troubador maldestro che di fronte alla sua lirica scomposta si sentì dire dalla deliziosa damigella: “Messere, le vostre parole sono aggraziate come le piante del mio giardino, ma mancano delle radici e mancano della terra e così mi appaiono già rinsecchite sulle vostre labbra”.

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