martedì 12 maggio 2020



COLTA SUL FATTO


Ero andato ad aspettare Olga all’aeroporto, lo facevo spesso per evitarle la fila ai taxi. L’avevo intravista già oltre la parete trasparente, confusa nella folla di passeggeri che si affrettavano verso l’uscita. Possibile che fosse vero ciò che avevo visto? Che Olga con una mano tenesse il trolley e nell'altra stringesse quella di un uomo? Percorsi un tratto a loro parallelo oltre il pannello, nella loro direzione. Dovetti farmi largo a fatica tra la gente ammassata in attesa di un parente o di un amico. La calca me li fece perdere di vista e all'uscita non li ritrovai, benché il flusso si fosse già diradato. Forse si erano fermati per salutarsi con le dovute effusioni, per non doverlo fare più tardi col rischio che li scoprissi. Tornai indietro, osservando il via vai con tutta l’attenzione possibile. Solo quando la folla dei passeggeri si era ormai diradata mi diressi di nuovo verso l’uscita. Fu lì che li ritrovai, davanti a me, confusi tra gli ultimi passeggeri del volo, ancora la mano nella mano, anzi no lui le aveva messo il braccio lungo la vita e camminavano vicini vicini. Si dirigevano stretti, ma di buon passo verso i taxi o i parcheggi. Perché mai non si erano lasciati prima? Era all’uscita del gate che di solito la aspettavo. Perché aveva rischiato con tanta leggerezza di farsi scoprire? Intendeva mettermi davanti al fatto compiuto? Oppure, visto che l’aereo era atterrato con un po’ di anticipo, volevano tenere per sé quei pochi minuti in più? Oltrepassarono la fila dei taxi, lo avrebbe dunque accompagnato al parcheggio. Chissà che scusa avrebbe trovato una volta tornata al gate d’uscita dove pensava la stessi aspettando. Quando, inseguendoli a debita distanza, li ho visti salire sulla stessa auto non capii più nulla. Tutto ciò che riuscii a pensare era alla necessità di affrettarmi per non perderli di vista. Li ritrovai al primo semaforo dove presero la direzione opposta a quella che l’avrebbe riportata a casa. Dovevo inseguirli, era troppo importante sapere qual era il luogo del tradimento. Suonò il cellulare, prima la suoneria di un messaggio, poi quella di una telefonata. Non era certo il momento di rispondere. Dopo l’autostrada percorsero una strada stretta di pianura con i fossati ai lati. Stavano andando in campagna. Forse si erano accorti di essere inseguiti e non avevano più una meta precisa. Invece si fermarono dopo avere svoltato in un breve vicolo sulla destra. Si aprì il cancello su un vialetto alberato che portava a una signorile abitazione di campagna. Che fare? Mettersi a suonare al campanello di casa e rubarli alla gaiezza di una sicura alcova adulterina? Mi sentii disorientato e intanto si fece sentire di nuovo la suoneria del cellulare. Ancora un messaggio. Guardai ma solo per perdere un po’ di tempo finché non mi si fossero riordinate le idee. Lessi: “Spero non ti sia successo nulla, ma immagino si tratti solo di una tua consueta dimenticanza. Ho preso un taxi. Fammi sapere. Ti aspetto qui a casa. Ciao”. 

mercoledì 21 agosto 2019

IL TURNISTA E LA FISICA DEI QUANTI

DIALOGHI DALL'ALTRO MONDO





MOGLIE – Quante volte mia madre mi ha ripetuto prima di sposarti: "È l'uomo più bugiardo della terra. Chi l'ha conosciuto dice che fin da bambino le raccontava già molto, ma molto più grandi di lui. Con tanti contadini che le frottole non le sanno neanche raccontare vuoi sposare proprio quello che le spara più grosse. E poi, con tutti i giovani onesti con la voglia di lavorare che ci sono in giro vuoi prendere proprio un forestiero di Montegibboso che anche col carretto di due cavalli ci vuole mezza giornata per arrivarci!". Come aveva ragione la povera donna!

IL TURNISTA – Ti capisco bene ora, moglie mia. Nella tua condizione spazio-temporale non avresti potuto pensare la realtà in altro modo. Nemmeno io ero ben consapevole di come vedessi molto più di voi, così concentrati com'eravate sull'apparenza. Nel frattempo però il mio sguardo è andato molto oltre grazie al grande fisico quantistico Hans-Peter Dürr che da qualche tempo soggiorna qui con noi nel nostro mondo. Conversiamo a lungo con grande mio profitto e anche lui mi trova un tipo interessante, soprattutto quando gli parlo della mia vita terrena. Se sapessi quanto la tua conoscenza sia determinata da ciò che solo credi di sapere! Per fortuna che ora qui nell'altro mondo hai la possibilità di apprendere come vanno veramente le cose e di capire come non fossi io il bugiardo tra voi.

MOGLIE – Forse perché sono morta da poco ma la mia memoria funzione ancora come si deve. E mi ricordo di tutte le fandonie e dei tuoi inganni. Perché diventassi tua moglie sei venuto a prendermi anche con una macchina, strombazzando per tutto il paese che tutti si sono fatti davanti alla porta. Ma non era mica tuo il macchinone, era quello del farmacista che gli avevi preso senza neanche dirglielo. Anche la camicia bianca e il vestito col corpetto e tutto il resto li ha poi pagati tua madre quando è comparso davanti a casa sua il garzone del sarto con i carabinieri. I soldi li ha dovuti chiedere a Puntone e solo lei sa per quanto tempo ha poi dovuto mangiare pane e cipolla per risparmiare abbastanza da darglieli indietro. E la casa grande con il forno in cortile e la luce elettrica nelle stanze che mi avevi promesso, l'hai mai vista tu? Io mai!

IL TURNISTA – Presto ti renderai conto come il vostro mondo, il mondo fisico, altro non sia che la concretizzazione della trascendenza. Comprenderai come il mondo materiale non sia che apparenza e come la realtà non sia fatta di cose e materia, ma di forma e di energia. È il nostro pensiero a fornire consistenza alla realtà con l'obiettivo di dare la parvenza di un ordine e un senso all'esperienza esteriore.

MOGLIE – "Ci sposeremo alla grande" avevi detto, poi della grande baldoria con la banda in chiesa e dell'orchestra per ballare la sera niente, non si è visto niente. A ballare nel cortile di Onofrio al Mulin del Santo c'era solo il povero Gustavino che sì, da lucido tirava fuori valser e mazurke dalla sua armonica, però come al solito dopo un po' non si capiva più niente di cosa suonasse perché era già ubriaco. Così che invece di ballare siamo stati lì seduti che nessuno sapeva più cosa fare o dire e dopo poco siamo rimasti solo noi e la povera mamma che scuoteva la testa e piangeva dalla disperazione. E anche in chiesa aveva cantato la messa come tutte le feste don Ortensio, poveretto che così vecchio non ce la faceva più neanche a leggere il messale e a fare la predica dal gran che respirava male.

IL TURNISTA – Avresti preso tutto con più serenità se avessi saputo della necessità dell'umano di andare oltre a ciò che crede di vedere, del suo bisogno di percepire la trascendenza nel proprio mondo. I nostri sensi non sono in grado di cogliere tutto ciò che accade nella sua completezza. La questione decisiva è il rapporto tra il soggetto e l'oggetto. Dobbiamo chiederci se possa esistere un mondo indipendente dal soggetto collocato dentro la realtà che osserva. Ciò che hai vissuto altro non è che una minima parte di ciò che è stato e avresti potuto esperire. Come formula Max Born, la tua esperienza era limitata dalla "invariante della percezione".

MOGLIE – Quando finalmente ti decidesti per andare a lavorare in fabbrica, visto che non avevi neanche un po' di terra, avevo pensato ti fossi deciso di fare qualcosa di buono, per i nostri figli, per me e anche per te. Dicesti che volevi fare una casa dove noi potevamo vivere e fare tanti bambini, visto che vivevamo ancora con mia madre e ci toccava dormire tutti nella stessa stanza.

IL TURNISTA – Ciò che hai percepito del nostro matrimonio è molto parziale. Una parzialità che tuttavia si può spiegare con le ricerche scientifiche sui fenomeni ottici ed elettromagnetici. La diversa velocità di pensiero e di elaborazione degli osservatori può coordinare e costituire un evento in rappresentazioni molto diverse. Ciò dipende dal fatto che onde e materia collassano in immagini in punti del tutto causali, anche se all’interno di un range definito di possibilità. L’imprevedibilità dell’effetto del reale sul soggetto preclude una descrizione deterministica di tutto ciò che ho detto e fatto con te e per te.

MOGLIE – Non mi sono mica inventato quello che poi è successo. La prendevi certo la corriera per scendere giù in pianura e, dicevi, per andare a lavorare in fabbrica. A un certo punto, per guadagnare di più e fare prima a trovare i soldi per la casa, hai detto che hai dovuto fare i turni di notte. Così partivi la sera e al mattino appena tornato ti mettevi a letto e ci rimanevi a ronfare tutto il giorno mentre io dovevo strologare come mettere un po’ di pane sulla tavola ai bambini. Quando poi era già un mese che non tornavi e nessuno sapeva più niente di te, sono comparsi davanti alla porta i carabinieri a dirmi che eri morto ma ti avevano già portato al cimitero giù in città perché dalle carte che avevano risultava che avevi un altro nome ed eri sposato con un'altra donna. 

IL TURNISTA – Il caso può essere spiegato bene dall'entanglement quantistico. Si tratta di un fenomeno rilevabile dalla fisica dei quanti, privo di analogo classico, per cui in determinate condizioni lo stato quantico di un sistema fisico non può essere descritto singolarmente, ma solo come sovrapposizione di più sistemi. Per dirlo in modo semplice che anche tu possa capire: in origine ero un'unica particella che poi si è separata e sono diventato due. Per questo avevo due nomi e due mogli.





(Il dialogo contiene riferimenti a: Hans Peter Dürr, "Physik & Transzendenz", Drieger, 2018 [1986])



lunedì 5 agosto 2019

UNA DICHIARAZIONE D'AMORE SCONSIDERATA


Dialoghi dall'altro mondo:

Il poeta Torquato Tasso e la Principessa Eleonora 

da: Wolfgang Goethe, "Torquato Tasso" (1790)




"Tu sei ancora quale mi apparisti la prima volta, un angelo santo! Perdona al fosco sguardo di un mortale se per un istante poté conoscerti. Egli ti riconosce; ora l'anima sua si apre tutta per adorarti eternamente; il cuore si ricolma di tenerezza." (W. Goethe, "Torquato Tasso", scena IV)

 
ELEONORA – È una poesia meravigliosa, ma Voi siete stato oltremodo ridicolo nel proporla come una vera dichiarazione d'amore. E non solo ridicolo è stato il modo. Chiedere la mano a me, alla sorella del Duca, poteva essere inteso solo come un affronto a chi Vi ospitava con tanta cura. A corte si valutò per Vostra fortuna lo sgarbo con generosità, come il gesto sconsiderato di una mente frastornata che non sa della differenza tra la poesia e la vita. Ora, anche se entrambi siamo spiriti che vivono in un altro mondo, potete ben capire come allora non sarebbe mai bastata una poesia a rendere possibile un amore.

TASSO – Ho scelto per Voi le parole migliori che conoscessi. Ma la mia lingua non era solo un abito per le occasioni importanti. Era il modo più vero di dare una voce a ciò che voce non può avere. Cosa ne avreste mai potuto comprendere Voi, col Vostro parlare ligio e vuoto! Solo vanità si racchiudeva nei Vostri modi cortesi. E pure io, della Vostra vanità, ne sono stato strumento del tutto inconsapevole. Non solo in quell'infausto frangente in cui misi a nudo la mia anima per il vostro disprezzo.

ELEONORA – Dovete ammettere che nella Corte di cui eravate ospite prezioso, la vita aveva almeno quella chiarezza, quella forma e quella solidità che a Voi faceva del tutto difetto. Il Vostro cuore era vivo e quando parlava sapeva emozionarci e struggerci. Tuttavia quando era la Vostra mente a parlare non ne facevate bella figura. 

TASSO – Come potevate voi che non conoscevate la lingua del cuore comprendere la lingua della mente? Quello che appariva ai vostri orecchi soltanto groviglio informe era in realtà un ordine sublime a cui voi, come tutti i Vostri simili, eravate distante come distanti vi sono le stelle del cielo.

ELEONORA – Avrete pure indicato la vie più sublimi dell'universo, ma qui sulla terra non sapevate nemmeno dove andare: volevate prima ritirarVi in una residenza di campagna del Duca, poi affermaste che non volevate più farVi vedere e subito dopo che non potevate più vivere senza di me. Quando arrivaste a chiedere la mia mano fu il segno definitivo della Vostra insania.

TASSO – Mi ero innamorato di ciò che eravate diventata nella mia poesia. Siete stata l'origine del mio ardore poetico, ma il frutto non Vi ha rassomigliato in nulla. Non avrebbe mai potuto rassomigliarVi, ben lo sapevo. Del resto, Voi, Eleonora, senza la mia poesia, la Vostra fama avrebbe avuto il destino di una mosca che muore col giorno.

ELEONORA – Non avevate assunto l'incombenza di confortarci e rasserenarci con la dolcezza delle Vostre parole? Questa era la ragione della Vostra presenza a Corte. Che abbiate preteso di più e di meglio dice come anche Voi non foste immune dalla vanagloria. La Vostra ambizione vi ha portato persino a sfidare Antonio, geloso del rispetto e del potere di cui godeva come uomo di comando. Avete cercato di fare mercimonio della Vostra fama di poeta.

TASSO – Nulla avete compreso della dedizione e del dolore necessari alla poesia. Ciò di cui nemmeno ora avete cognizione è come la poesia sia stata per me un destino crudele e dolce nel contempo. Ogni mio fallimento mi assegnava il compito di trovare le parole da donare agli uomini affinché molcessero il morso delle loro pene e imparassero a redimere ogni loro debolezza. 

(Liberamente tratto da: C. Giacobazzi, "Liebeserklärungen", K&N, 2019)


lunedì 7 maggio 2018

COSÌ PARLÒ IL SEDUTTORE EVOLUTO



Da innumerevoli giorni il seduttore evoluto non parlava più ai suoi discepoli i quali gli ripetevano frastornati: “Maestro, il tuo silenzio ci confonde, ci paralizza e ci avvilisce. È ancora senza una tua risposta la domanda che da sempre più ci sta a cuore. Ci rivolgiamo a te supplichevoli, bisognosi di una parola che possa farsi finalmente azione, gesto risoluto e calmo, sovrano e vincente. Dicci dunque, Maestro, quali sono le frasi per rompere il ghiaccio, per aprire un varco nel cuore, nello spirito e nella carne del nostro più tenace oggetto del desiderio. Se così non sarà la nostra cieca ossessione ci rabbuierà definitivamente il senno, già di per sé assai precario. Perché Maestro abbiamo da te solo il tuo impenetrabile silenzio? Parlaci, dicci le parole che da noi ripetute ci conducano alla meta!”.

La sua risposta mise fine alle implorazioni dei suoi discepoli, ma non alla loro irresolutezza: “Voi piccoli seduttori da bettole di infimo ordine! Già nelle vostre pavide domande coltivate il germe della sconfitta. A voi che intendete affidare il vostro misero volere al grande inganno della parola, dico di desistere, di ravvedervi, di non farvi servi stolti della grande ingannatrice. Cercate invece nel silenzio il gesto che vi allontani dai vostri sciagurati desideri di servi. È dentro di voi la voce che può accogliere con gaudio il solo piacere destinato alla vostra condizione. Se avete occhi per osservare figure e movimenti sinuosi, rivolgeteli all'interno e commisurate il vostro vedere ai corpi e alle movenze che danzano da sempre nel vostro intimo. Se avete orecchi per ascoltare le voci soavi che solleticano il vostro udito, rivolgeteli all'interno e commisurate il vostro sentire ai suoni melodiosi che da sempre accompagnano i vostri pensieri più gai. Se avete il naso per respirare nell'aroma inebriante di un corpo accalorato, rivolgetelo all'interno e commisurate il vostro odorare alle fragranze che esalano dalle vostre ebbrezze. Se avete mani con cui lisciare insaziabili una pelle vellutata, rivolgetele all'interno e la carezza si propagherà in brividi al vostro cuore e alle vostre viscere. Riconoscete ciò che già conoscete e nessun destino potrà privarvi di ciò che vi appartiene”. 

Così parlò il seduttore evoluto.

sabato 24 giugno 2017

L'AMORE RITORNA CAMBIATO





Simona Morani, Cuore delicato, lavare a mano, Giunti, 2017

La giovane scrittrice Simona Morani torna, dopo l'ottimo esordio di Quasi arzilli, con una storia d'amore e i protagonisti sono ancora una volta anziani. La storia di Cuore delicato, lavare a mano ruota intorno Rina, vedova di soli, si fa per dire, 62 anni. Tra gli altri personaggi importanti non più nel fiore degli anni troviamo la sorella Ada e il decisamente maturo Nello, prima sfortunato corteggiatore dell'una e poi, con successo, dell'altra. La vicenda amorosa principale è l'innamoramento di Rina per Donato, un giovane in carriera gentile d'animo e affascinante d'aspetto. Si tratta ovviamente di un amore che non può dispiegarsi visto il divario di età, d'aspetto, d'ambiente. L'amore di Rina è un amore impossibile e lei lo sa bene. Donato è troppo giovane per lei, troppo bello, troppo in carriera, troppo diverso da colui che tutti, la sorella in primis, si aspettano possa sostituire un marito purtroppo deceduto prematuramente. Pure le amiche, tutte a loro modo un po' strambe, non mostrano affatto comprensione per i suoi sentimenti. Inoltre sa bene come nella sua posizione di manager di un prestigioso marchio automobilistico di successo, sia circondato da ragazze affascinanti, intelligenti e, come non può non pensare Rina, anche molto disponibili. Ciò nonostante il suo cuore si accende e le sue giornate cominciano a prendere altri colori e altri sapori se sa che deve arrivare Donato a portare o a riprendere le sue camice o i suoi abiti

Rina fantastica lo stesso un grande amore, a dispetto delle amiche e della pretesa della sorella di affibbiarle l'ormai ottantenne Nello che preferirebbe avere in casa una donna come lei alla scorbutica badante. Tuttavia non è una Madame Bovary che sta tutto il giorno a leggere romanzetti e a fantasticare storie d'amore mozzafiato. Rina lavora, la sua vita è la sua lavanderia. Non ha solo pensieri, ha anche mani sapienti e amorevoli. Sa immaginare cose belle, ma le sa anche fare. Così invece di sognare semplicemente l'oggetto del suo stupefacente desiderio, può occuparsi di Donato in modo molto concreto. Lava, stira, profuma, predispone le camicie e gli abiti che lo renderanno ancora più splendente e affascinante in giro per il mondo nelle sue presentazioni di auto meravigliose. Rina non vive solo di immaginazione, ma tocca, odora, vede da vicino ciò che appartiene al suo amore. Questa possibilità è avvertita da lei come un grande privilegio rispetto a tutti gli altri che lo possono solo osservare, un privilegio in grado di giustificare e alimentare il suo amore. Donato non è solo un prodotto della sua fantasia, ma anche delle sue mani, del suo lavoro. Il suo amore non è dunque per nulla platonico, per nulla autoreferenziale e chiuso in sé stesso. Rina ha la fortuna di potere tradurre il suo sentimento in gesto tangibile e trovare così una strada per materializzarsi in ciò che si può toccare, vedere, annusare. Ed è lei col suo lavoro a contribuire a renderlo seducente nella realtà, non solo nei suoi sogni.


Il tema sotterraneo ma pervasivo del romanzo può essere riconosciuto nel continuo ritorno del passato nell'esperienza amorosa: ogni volta che ci si innamora è come se fosse la prima volta. Fino in tarda età si freme ebbri di gioia e il mondo si trasfigura davanti ai nostri occhi quando si trova l'amore. Tutto avviene come se si potesse ritornare in ogni momento all'origine della nostra vita amorosa, come se ricominciasse ogni volta nuova. I flashback sulla prima storia d'amore di Rina confermano quello che è facilmente riconoscibile come un leitmotiv del romanzo: il passato ritorna, non è mai solo passato ma anche futuro, e talvolta persino presente. Tuttavia la formula ben conosciuta, il cuore non invecchia, corrisponde sì al vero ma la sua verità contiene anche una parte non vera. Il cuore invecchia come ogni cosa, ma la vecchiaia, come scopre Rina, è sì deficit, assenza, privazione, ma non solo. L'esperienza amorosa muta nelle forme, il suo compimento avviene in altri modi, in modi, più sereni, più rilassati, più lenti, più concreti. Il tempo che prende è anche il tempo che dà, questo è ciò che la giovane scrittrice apprende dalla sua stessa scrittura, dall'entrare nei pensieri, nei desideri e nella vita degli altri da lei: leggerezza, rilassatezza, pragmatismo e anche capacità di prendere congedo rendono la vita più autentica e più vera proprio quando si avvicina alla sua dissoluzione, vale a dire quando ritorna all'origine primaria, là da dove è venuta.

lunedì 22 maggio 2017

L'ESPERIENZA AMOROSA DALLA PROSPETTIVA DELLA FINE


Max Frisch, Montauk (tr. Bruna Bianchi), Torino, Einaudi, 1977

L'ormai anziano ma non ancora vecchio scrittore è stato invitato a New York per promuovere l'edizione americana del suo ultimo romanzo. Il programma prevede letture pubbliche e interviste. Lynn, una giovane segretaria, lo accompagna nell'organizzazione degli eventi pubblici e del tempo libero. La frequenza del contatto favorisce la confidenza reciproca e così trascorrono una notte nel piccolo appartamento della giovane e successivamente, il giorno prima del congedo, intraprendono una escursione sulla penisola di Montauk. Tutto qui l'opera considerata da molti commentatori come la migliore, la più intensa e "sincera" dello scrittore svizzero? No, non è tutto qui. Se allo scarno resoconto si aggiungono solo due particolari – il corpo dell'uomo si nega all'abbraccio intimo e unicamente sporadiche, consuete parole accompagnano il loro comune fine settimana – si comprende come il tema del racconto non possa essere semplicemente una discutibile vicenda amorosa tra una giovane segretaria e un famoso scrittore ormai anziano.

Nello spazio del silenzio e del non accadere delle cose, comunque cercato e voluto dal protagonista, si insinuano i ricordi a episodi della sua vita passata, precisamente circostanze delle sue relazioni amorose. Il passato emerge senza alcuna volontà esplicita ma appare subito chiaro il rapporto con con il presente: ritorna in forme e modi del tutto uguali pur se il tempo, il luogo e la donna sono cambiati. In tal senso è facile comprendere come il diniego del corpo così come la volatilità della mente siano una risposta ancora non del tutto consapevole alla perdita di identità, originalità e autenticità che si manifesta in atteggiamenti e sensazioni rimasti uguali nel tempo. La consapevolezza di essere estraneo allo scorrere del tempo, al suo divenire è allora la conseguenza di una memoria che invade il presente per smascherarlo nella sua mortale fissità. Da qui l'urgenza di riconoscere ciò che nel tempo si è perso definitivamente. Soltanto da questa presa di coscienza si apre per lui una opportunità per  una relazione possibile, dunque autentica e "sincera".

L'unico contatto tra loro è reso possibile da un atteggiamento che tenga in considerazione le distanze, che esprima e comunichi l'impossibilità di una relazione, di un coinvolgimento dell'uno nella vita dell'altro. Ciò che li divide non è solo la grande differenza nell'aspettativa di vita, la quantità di tempo che rimane loro da vivere. La promessa di prendersi cura della sua felicità è impedita anche da una mutazione qualitativa determinata dal tempo. I ricordi lo rendono consapevole delle illusioni che alimentano l'ebbrezza dei sensi e della mente. Ormai ha fatto esperienza di tutte le imperfezioni dell'amore, della sua inesorabile finitezza. Ma anche in questa disillusione rimane aperta una strada all'esperienza amorosa, sebbene anch'essa del tutto nei limiti umani. Quando qualcosa del mondo, del nostro mondo scompare, l'ultima possibilità di tenerlo in vita è quella di portarlo dentro di sé. Così vivere una relazione nell'accettazione della sua impossibilità significa accogliere una felicità amorosa che sopravvive all'assenza e alla perdita. La condizione nel divenire e nella morte non è dunque rimossa nell'esperienza amorosa dell'anziano scrittore perché la presenza dell'amata viene interiorizzata, ospitata dentro di sé.


Il pensiero all'amore nella condizione umana, che tuttavia rivela il desiderio di superarla pur riconoscendola invalicabile, è raccolto nello splendido verso di Paul Celan: Il mondo non c'è più, io devo portarti. Considerare l'esperienza amorosa dalla prospettiva della sua fine significa conciliarsi con una idea dell'amore che contempli anche l'abbandono.

venerdì 12 agosto 2016

LE PAROLE DELL'INIZIO



L'inizio è senza ombra di dubbio il momento più importante di ogni cosa. Per comprendere questa verità basta semplicemente considerare come in nessun caso sia possibilemettersi a cercare le cose che non sono mai cominciate. Ovviamente anche una esperienza umana di grande importanza come la seduzione ha nell'inizio un momento fondamentale. Se si sbaglia in quel frangente si rimane con un pugno di mosche in mano ed è del tutto inutile progettare altre fasi come l'invito a cena o il primo regalo. Semplicemente non c'è nessuna seduzione e dunque nessun seduttore.

Se anche i non seduttori evoluti riescono a capire questo ragionamento, un po' meno agevole è capire come il tacere, il rimanere zitti insomma, sia una delle tante possibilità per arrivare a far cominciare la seduzione. Molte esperienze fallimentari dipendono dalle parole sbagliate nell'approccio. Del resto è anche molto difficile trovare le parole giuste se si vuole avvicinare qualcuno che non si conosce. La richiesta di informazioni sulle generalità come se si fosse un carabiniere in servizio, o di carattere biografico come potrebbe accadere in un colloquio di lavoro sono superate in inadeguatezza, e nei loro effetti catastrofici, solo da un approccio con domande da confessionale, quelle che possono venire in mente solo a una festa quando si è cominciato a bere troppo presto. Ma il clou dell'errore e dell'inettitudine è raggiunto dalle parole che pretendono di dare inizio alla seduzione con un commento sugli abiti, o sulla pettinatura, o sugli occhi. Il non rendersi conto della delicatezza e delle conoscenze che presuppongono tali considerazioni segnala una inconsapevelezza che merita di essere punita con il più sprezzante degli sguardi. Un'unica eccezione può essere quando si presenta la facile opportunità di un commento su ciò che la bella estranea sta leggendo. L'eccezione però vale solo se si ha avuto in precedenza l'accortezza e la pazienza di cercare e trovare un rilassato contatto degli sguardi.

Il silenzio non è ovviamente disinteresse e disimpegno, non è il nulla. È invece un vuoto in cui si può fare accadere qualcosa. Visto che non si può capire che parole sensate possano esserci per chi non si conosce ancora, occorre fare attenzione a come si comporta nel piccolo spazio e nel tempo limitato in cui è necessario cogliere la palla al balzo. E lo si può fare osservando come reagisce alle cose intorno: sorpresa, ilarità, compiacimento a seconda che accada qualcosa di strano, di ridicolo, di divertente. In tal modo si possono cogliere le sue eventuali reazioni come un pretesto per un commento rompighiaccio. Solo nel silenzio attento e riflessivo si possono individuare le occasioni offerte dalle situazioni affinché le parole nascano e abbiano una collocazione precisa in quella situazione e solo in quella. Soltanto così si può ottenere l'effetto dell'originalità e godere di tutti i vantaggi di un buon inizio.






COLTA SUL FATTO Ero andato ad aspettare Olga all’aeroporto, lo facevo spesso per evitarle la fila ai taxi. L’avevo intravista gi...