L'età dei lumi, come ben si sa, ha svuotato il cielo del divino e da allora l'uomo ha iniziato a scrutare la volta celeste solo per cercare ciò che vi era anche sulla terra, vale a dire conoscenza, ordine e senso. Tuttavia il peso della condizione di orfano lo ha disorientato a tal punto da indurlo a credere di potere ottenere anche sulla terra ciò che il cielo gli aveva promesso: una felicità incontaminata, assoluta e perenne. E questa condizione celestiale la ha cercata prevalentemente nell'esperienza amorosa. Lo ha fatto certo platonicamente nel sorriso e negli occhi della bella vicina, della donna dell'amico, dell'esotica straniera, ma anche più concretamente nelle seducenti forme di un corpo in carne e ossa. In tal modo, senza esserne del tutto consapevole, ha surrogato la prefigurazione di una felicità trascendente e lontana con una di natura corporea molto più vicina e raggiungibile. Una felicità assoluta poteva allora dischiudersi all'improvviso nel bel mezzo della vita terrena su uno sguardo accondiscendente, su un corpo docile e incline all'incontro e al contatto.
Proprio la sua vicinanza è stata però il grande limite di questa compensazione per la perdita del paradiso. Una volta esaurita l'ebrezza amorosa – anch'essa dunque partecipe al destino di ogni cosa terrena – le delizie dell'amore si sono di frequente trasformate nel loro contrario, più proprie del regno degli inferi che non del regno dei cieli. Ed è così che l'uomo, pur avendone avuto una pur fugace prefigurazione, ha dovuto abbandonare la lusinga di una felicità amorosa immacolata, duratura e celestiale. Di contro ha però scoperto come sulla terra gioie e dolori siano inscindibilmente connessi, come non vi possa essere l'uno senza l'altro. Chi si abbandona all'esperienza amorosa impara che non sarà, non potrà mai essere come si era presentata. Proprio grazie al suo svelarsi faccenda del tutto terrena, dunque potenzialmente dolorosa, necessariamente mortale, si comprende quanto si stesse bene quando la si fantasticava. La sua assenza la richiama, la fa immaginare e, alla fine, cercare di nuovo. Nella sua imperfezione e incompletezza, persino nella sua assenza si ha l'opportunità di immaginare come può essere un amore che si crede perfetto, assoluto, durevole.
L'uomo scacciato dal paradiso, orfano del divino, se non può trascendere le cose, le può però esperire dal di dentro, dunque dall'unica prospettiva che gli è concessa, da quella terrena appunto. Per questo per vederle bene, per ottenere la conoscenza della loro natura, occorre allontanarsene. L'allontanamento dal sogno felice di un amore causa sì dolore, ma è anche il presupposto per rendersi conto di cosa sia la felicità.

