venerdì 5 settembre 2014

NELLA CARNE DELL'ALTRO




Lo sanno i grandi predatori che è la loro impazienza a farli rimanere a bocca asciutta, ancor più dell'abilità e dell'energia disperata della preda. E lo sa anche il gatto nel cortile di casa che nella stagione degli amori indugia nell'attesa per ore e ore con enorme pazienza finché la gattina agognata non si decida a concedersi.

Anche i seduttori non evoluti hanno dovuto imparare dalla loro piccola o grande esperienza come ogni gesto precipitoso li allontani dal loro obiettivo. E pure loro sanno trarre, nel loro piccolo, insegnamenti da ciò di cui fanno esperienza. Ottengono così il relativamente valido convincimento che la donna ami farsi desiderare solo per accrescere di valore l'intima donazione di sé. I meno primitivi tra loro, o i presunti tali, osano addirittura addentrarsi nei meandri della psicologia femminile traendone l'idea che l'accenno inconcluso e la relativa attesa provocata possano accendere i sensi della femmina. Sono queste le riflessioni, a dire il vero  piuttosto grossolane, che possono portare i seduttori non evoluti a concepire una strategia seduttiva temporeggiante sul modello dei predatori animali.

Intanto occorre osservare come sia difficile comprendere a fondo la psicologia nel mondo animale e applicarne correttamente l'esempio. Se si riduce a una semplice imitazione l'indugio diventa una tecnica che si manifesta come una superficie troppo trasparente: vi saranno sempre gesti, sguardi e parole che escono per loro conto a boicottare le migliori strategie. Se il desiderio cieco si impossessa del seduttore nessuna sua accortezza potrà impedirgli di manifestarsi con tutta la sua frenesia nei modi più subdoli.

Il seduttore evoluto non si occupa di strategie perché mira a ottenere la complicità del desiderio, a viverlo come momento reciproco. Desidera sì ottenere l'ospitalità di un altro corpo, ma anche scoprire di essere un corpo desiderato. L'attenzione al modo in cui viene accolto e vissuto diventa così per lui uno strumento di conoscenza di sé, permette un apprendimento che si ottiene solo grazie alla benevola ospitalità dell'altro. L'indugio è allora la conseguenza di un timore naturale e congenito nell'istinto di conservazione: la trepidazione di fronte alla rivelazione di dimensioni nuove di sé, l'apprensione di fronte all'eventualità di ripensare se stessi scoprendo un senso e un valore inattesi in ciò che si sta facendo. È così che il seduttore evoluto va oltre la solitudine del conquistatore per aprirsi a un incontro con l'altro che lo interroghi e che eventualmente lo cambi. Il corpo non è più solo uno strumento per soddisfare una sete, per aprire e chiudere un atto che trova in sé il proprio definitivo compimento. 

Il desiderio di entrare nell'altro, con-fondersi in un'unica carne conduce a un gesto rischioso per la propria identità: nessuno può sapere cosa diventerà nel corpo dell'altro. L'insicurezza, l'esitazione e anche talvolta l'inettitudine sono il sintomo del comprensibile turbamento che accompagna la scoperta di sé attraverso la fusione con l'altro. Il suo dono dell'ospitalità nella sua carne è sì quello della dolce accoglienza, ma pure quello – si direbbe anche più prezioso, benché difficile da accettare – dell'opportunità di apprendere qualcosa di sé.

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