lunedì 18 febbraio 2013
LE SEGHE MENTALI RENDONO CIECHI
Per comprendere l'altro - come ci insegnano tutti coloro che intendono migliorare i rapporti tra gli esseri umani - occorre intendere bene cosa ha in mente, spesso non fermandosi alle parole ma cercando il non-detto, la comunicazione implicita e nascosta dalle parole.
Anche i manuali di seduzione che vogliano lasciare l'impressione di accuratezza e serietà offrono capitoli dedicati alle comunicazione non verbale e alla gestualità. Il loro scopo sarebbe quello di identificare con certezza cosa significa se la bella invitata a cena passa ripetutamente col dito sul bordo del bicchiere, o se giocherella con la collana e magari si sporge sul tavolo nella direzione dell'interlocutore.
Tutto lo sforzo di attenzione, di analisi e di decodificazione è finalizzato all'immane obiettivo di dare un quadro esatto, o il più esatto possibile, della condizione psicologica ed emotiva della femmina, di ciò che sta attraversando la sua mente e altri organi come lo stomaco o addirittura il cuore. L'impegno è insomma finalizzato a una sorta di ecografia al fine di diagnosticare l'effetto del trattamento seduttivo.
Il seduttore evoluto non tiene proprio in alta considerazione tale approccio per così dire "scientifico". Tutto l'impegno e lo sforzo che richiede, più che portare conoscenze utili, rischia di condurre negli intricati labirinti di ogni eccesso di interpretazione, vale a dire nei meandri delle proprie "seghe mentali".
Più che dallo stimolo alla conoscenza l'eccesso interpretativo nasce dal timore di sbagliare e dal conseguente rifugio nel pavido ruolo di osservatore, di analista, di teorico. Si preferisce la riflessione, l'analisi, lo studio all'immediatezza della vita vissuta per non affrontare i rischi dell'azione, le incertezze dell'avventura. Rifugiarsi nel pensiero senza l'azione è un atteggiamento sì contrario ma del tutto omologo a colui che agisce senza pensare. E il risultato è lo stesso: nello scontro con se stessi e con i propri limiti ci si rende ciechi nei confronti di chi si ha davanti.
mercoledì 6 febbraio 2013
IL BELLO DEL CANE MENATO PER L'AIA
Il seduttore evoluto sa bene di dovere tenere sempre in considerazione l'eventualità di un rifiuto. Evenienza che non pretende azioni o gesta particolari. Dal confronto con una scusa palese al più chiaro e deciso dei no, è facile fare la cosa giusta: prendere atto della situazione, optare per una strategia d'avvicinamento più accorta, se non per una dignitosa ritirata.
La difficoltà maggiore si presenta quando occorre subire l'onta di forme di rifiuto non proprio urbane: dalle espressioni che manifestano in forme rozze una sorpresa indignata, a quelle che sottolineano in modi beffeggianti una presunta velleitarietà dell'intento. In questi casi, poi non così frequenti, la scelta migliore è quella di convincersi di come il pessimo carattere del pur attraente esemplare femminile sconsigli ogni ulteriore contatto, anche quello preteso dalla vanagloria di uscire dalla contesa solo dopo aver ottenuto l'onore delle armi.
Una forma di rifiuto che irrita taluni ma che deve essere accolta con gratitudine, è quella raddolcita da una messa in scena che non si nega ma che rimanda all'infinito l'agognata risposta di assenso. È vero che può essere irritante il dovere disdire prenotazioni o il trovarsi a riorganizzare all'improvviso alla bene e meglio una serata attesa come potenzialmente ricca di scoperte. Eppure bisogna sapere apprezzare il gesto generoso e impegnativo di abbellire la realtà di un rifiuto in modo da renderlo accettabile. Ma non solo: la gentilezza nel diniego è anch'essa una forma di promessa perché non chiude la relazione e lascia a suo modo uno spazio di futuro per un'altra opportunità. In ogni caso, anche se non ci fosse nessuna intenzione, né per il presente né per il futuro, è sempre gratificante l'amabile compagnia di un essere gentile che, pur “menando il can per l'aia”, non disdegna di esibire la parte migliore di sé anche nel caso di un rifiuto.
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