sabato 29 ottobre 2011

"MA IN ISPAGNA SON GIÀ MILLE E TRE"



Molti sanno, o credono di sapere, quando la seduzione abbia raggiunto il suo obiettivo. I seduttori non evoluti hanno le idee così chiare in proposito che, in non rari casi, amano registrare ogni conquista in un loro archivio personale come se fosse un dato definitivo a cui non occorre né aggiungere né togliere nulla: nei loro cassetti – quando la memoria non è più sufficiente – custodiscono di certo un'agenda le cui pagine si riempiono velocemente di nomi femminili.

A me non pare così facile avere la certezza dell’oggettività del dato. I primi dubbi mi vennero già sui banchi di scuola. Un mio compagno, che in verità non prometteva significative evoluzioni nel campo della seduzione, mi presentò un giorno, proprio nell'ora di religione, un foglio con un lungo elenco di nomi femminili informandomi che ad ogni nome corrispondeva una sua conquista. “Sono in ordine cronologico, non alfabetico” aggiunse per completare inutilmente l'informazione godendosi il mio stupore. Le successive specificazioni mi confusero ulteriormente: “Giovanna l'ho presa per mano per un bel tratto di strada”, Giuseppina mi ha baciato appassionatamente sulla guancia”, “Lauretta è stata seduta vicino a me sul muretto tutto il pomeriggio” e così via. “Sei proprio un don Giovanni” gli dissi solo perché intuivo che voleva sentirsi ammirato anche se, da parte mia, non sapessi ancora con esattezza quali fossero state le prestazioni del grande mito dei seduttori.

Col tempo e con la maturità acquisii qualche certezza in più, ma il problema di fondo – quando si potesse definire compiuta una seduzione – rimaneva per me irrisolto. Tant'è che le mie non molte convinzioni subirono un grave colpo quando qualche anno dopo un amico che godeva di buona fama nella compagnia del bar, se ne uscì con una affermazione per me stupefacente: “Quella la posso considerare nel mio carniere: ci sarebbe stata, sono stato io a non volere”.  La conquista avrebbe dunque molte affinità, pensai con qualche perplessità, con il peccato di desiderio così come ce lo spiegavano al catechismo: bastava che la donna dimostrasse la sua disponibilità e ci si poteva già attribuire un trionfo.

Col tempo compresi ovviamente quanto fosse insensato questo convincimento giacché l’esperienza ha insegnato a me come a tanti altri, quanto sia prematuro celebrare una vittoria prima di affrontare il vero campo di battaglia. Tuttavia, pur nella loro inconsapevolezza, sia il mio compagno di scuola, sia l’amico del bar, colsero, nel loro piccolo, un insegnamento fondamentale di uno dei padri nobili della seduzione, il grande filosofo danese Søren Kierkegaard che scrive nel suo Diario di un seduttore: “Egli aveva sortito da natura uno spirito troppo grande per essere un seduttore dei soliti. Spesso tendeva a qualcosa di affatto ricercato: per esempio un saluto e nulla più, perché il saluto era ciò che da quella signora poteva avere di meglio.” 

Dunque Kierkegaard pensa, esattamente come i miei amici di un tempo, che l’obiettivo della seduzione sia una faccenda piuttosto elastica, adattabile alle mutevoli situazioni e alle diverse possibilità. Spetta dunque ad ognuno discernere l’obiettivo desiderabile da quello sgradevole,  comprendere quale sia quello possibile distinguendolo da quello impossibile.

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