Alcuni ricorderanno il film di Ettore Scola “Ballando, ballando”: donne e uomini accomunati da nient'altro se non dalla passione del ballo, una passione che né il tempo, né le imperfezioni nel fisico possono intaccare. Si tratta di un film giustamente senza parole perché ciò che si esprime nella danza si manifesta solo attraverso il movimento dei corpi guidato dalla musica. Per questa ragione ci si capisce ballando anche tra estranei ed è proprio dall'esperienza dell'intesa reciproca che si trae gioia e godimento.
È vero che anche nell'abbraccio è necessario un momento in cui ci si studia al fine di sintonizzarsi sul partner. Tuttavia l'armonia che si crea non è poi più messa in discussione dalla imperfezioni e dalla complessità della parola: ambiguità, polisemie, valore delle intonazioni, intenzioni latenti e così via. La danza, una volta appresa la tecnica specifica, rende automatici i movimenti e richiama con immediatezza le corrispondenze a cui aspiriamo ogni volta nell'incontro con l'altro sesso. La logica a cui la lingua è legata tende invece a “disconnettere” perché, nel suo ambire alla precisione, è del tutto intenta a distinguere, a disgiungere, a separare: per esempio il vero dal falso, il buono dal cattivo, il bello dal brutto e così via. Per questo è necessario ritrovarsi su ogni parola e ogni parola è una sfida all'equilibrio della coppia: ci si può scoprire in armonia, ma anche separati da differenze che non si lasciano appianare con tanta facilità.
Nella danza non vi è inoltre il peso della quotidianità, dell'abitudine, dell'interesse. Quando si parla, a meno che non di declamino poesie o si raccontino favole, si parla sempre per perseguire un obiettivo, per fare qualcosa che accompagna e va oltre il parlare (promettere, minacciare, confortare, offendere e così via). Nella danza invece i corpi si abbandonano a gesti senza alcuna intenzione e senza finalità che non sia il reciproco perdersi nella melodia della musica, nel ritmo, nel movimento. Ogni ballo nasce, vive e termina in uno spazio e in un tempo solo suoi. In questa indipendenza e libertà dalle cose del mondo che circonda la sala da ballo i gesti possono prendere i significati e valori nati dal desiderio, dal mondo fantastico e onirico dei danzanti. La vita che prende forma si emancipa allora dai codici e dalle convenzioni abituali giacché l'unica realtà visibile con cui confrontarsi è quella del movimento.
Per tutte queste ragioni si può dire che la danza, parafrasando Nietzsche, si avvicini alla lingua degli dei: anche gli uomini, una volta sollevati dal peso delle cose, possono creare un mondo col semplice gesto di nominarlo.
