sabato 29 novembre 2014
ANDARE E VENIRE
Che seduttore evoluto sarebbe se non fosse tanto abile nell'abbandonare quanto nell'accettare, anzi nel valorizzare il venire abbandonato? Ricevo di frequente desolate mail private di seduttori ancora in formazione affranti perché la loro ultima conquista li ha lasciati per allacciare improbabili relazioni con il maestro di zumba o con un estremista islamico o ancora con il proprio relatore della tesi di laurea. La mia paziente risposta non fa che ripetere un ritornello dai toni quasi biblici: benedite, non maledite la donna che vi ha lasciato perché il suo gesto di rottura squarcia orizzonti altrimenti impensabili, rinnova voi stessi e il mondo attorno a voi.
Per questo il seduttore evoluto ha imparato a considerare il suo andarsene alla stregua di un atto d'amore pari del suo venire. L'arrivare e il partire non sono che dimensioni inscindibili dello stesso gesto. Come l'arrivo dell'amata ha sovvertito nel passato l'esistenza dell'amato, ora gli offre l'occasione che possa di nuovo sovvertirla: ascoltare un richiamo la cui forza primordiale annulla ogni ordine e ogni certezza.
Nel bel mezzo di un sensato progetto di vita a due, di miti e molli effusioni, di pigre abitudini confuse con incrollabili certezze, diventa ben percettibile una voce dal profondo: sono io, sto arrivando, lascia tutto quello che hai e seguimi. È il richiamo a immergersi nel caos, nell'insicurezza, nel timore, nel dubbio affinché si soddisfi una sete inesausta che solo l'abbandono ribelle a un abbraccio temerario e incondizionato di corpi può, seppur momentaneamente, saziare.
sabato 8 novembre 2014
SAPERE ABBANDONARE
Pensare alle opere del seduttore come a una incessante apertura di nuovi orizzonti, a una ininterrotta conquista di spazi nuovi, è frutto di un errore logico oltre che di una palese cecità sui limiti dell'umano: il tempo e lo spazio sono grandezze immutabili e non si lasciano pensare secondo il capriccioso arbitrio degli uomini. A nessuno è dato di scomporsi in più individui che possano godere contemporaneamente di tutti gli obiettivi che la mente umana può immaginare. Sappiamo bene come non sia per esempio possibile accettare contemporaneamente più appuntamenti se non si possiede il dono dell'ubiquità. A un certo punto bisogna scegliere e ogni scelta implica necessariamente esclusione, perdita, abbandono. Più dunque si aprono orizzonti e più vi è la necessità di chiuderli. Più veloce è la presa di nuovi territori e più risoluta deve essere la decisione di lasciarne altri. Brillante tanto quanto la capacità di conquistare deve essere anche l'abilità di abbandonare.
Il sapere prendere congedo è anche un'arte più complessa di quella di prendere possesso giacché ci distoglie dal sogno divino di orizzonti infiniti e ci catapulta nell'umanissima esperienza del limite. A una prova così ardua bisogna arrivare preparati. La preparazione migliore è senza dubbio il liberare l'esperienza amorosa da orpelli con cui non ha nulla a che vedere come l'affettività o il sentimento. Occorre infatti prendere coscienza senza remore che si ama per necessità e che dunque ad amare ci spinge una delle forme più radicali di egoismo. È un focolare caldo e conosciuto, certezze sempre confermate, annoiate ritualità che ci fanno sentire a casa nostra e dimenticare del nostro destino errante in una terra non sempre benigna. Ciò a cui si dà il nome di affetto non è altro che questa rete rassicurante di abitudini e aspettative confermate, rete pronta a trasformarsi di volta in volta in rifugio protettivo o in prigione inespugnabile. L'abbandono dell'amata si presenta allora come un salto nel vuoto: si soffre non per la sua perdita ma per la caduta nel nulla in cui getta. Tant'è che per i seduttori è abitudine colmare subito il vuoto con un nuovo inizio costringendosi così in altro modo alla continua reiterazione del conosciuto.
Amare senza la dipendenza dall'affetto e dal sentimento è liberarsi dal bisogno dell'altro e dare valore all'istinto egoistico che ci porta ad amare: la risoluta rinuncia alla dolcezza di una calda prigione e il relativo salto nel vuoto senza paracadute dice del disinteresse della propria offerta d'amore, del suo essere vissuto e goduto solo per quello che è e offre. E testimonia soprattutto della disponibilità di accettare come anche la passione, l'apertura all'altro e la disponibilità a seguirlo possono perdersi. Siamo esseri nel divenire e per poter vivere dobbiamo accettare la quotidianità della morte e imparare a prendere congedo dalla cose.
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